Via Meridiana – Villa Meridiana
Una spiegazione generale del mondo e della storia deve innanzitutto tener conto di com’era
situata casa nostra nella regione un tempo detta «punta di Francia», a mezza costa sotto la
collina di San Pietro, come a frontiera tra due continenti. In giù, […] la città coi marciapiedi le
vetrine i cartelloni dei cinema […] in su, bastava uscire dalla porta di cucina […] e subito si era in campagna, su per le mulattiere acciottolate, tra muri a secco e pali di vigne e il verde. (La strada di San Giovanni)
Quasi irriconoscibile rispetto alla forma che Mario Calvino a partire dal 1925 le aveva dato,
facendone la sede della Stazione sperimentale di floricoltura «Orazio Raimondo», oggi Villa Meridiana si presenta soffocata dai palazzi e priva di quel parco che la rendeva unica con i suoi circa 3000 mq di estensione e la presenza di oltre quattrocento varietà di piante tropicali.
Luogo essenziale nella biografia dell’autore, che l’abitò fino all’età di 22 anni, è l’origine prima del suo sguardo sul mondo «sempre come su un balcone, affacciato a una balaustra […] teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto». La villa appare e riappare, senza soluzione di continuità, in tutta l’opera di Calvino, soprattutto la prima, più legata alle origini sanremesi.
È il caso del racconto Un pomeriggio, Adamo, che apre la raccolta Ultimo viene il corvo. La
villa non è mai nominata, ma la riconoscibilità della figura di Libereso (cfr. tappa 36) e
l’ambientazione nel giardino non lasciano dubbi: «Libereso si mise a girare tra le calle. Erano tutte sbocciate, le bianche trombe al cielo. Libereso guardava dentro ogni calla, ci frugava dentro con due dita e si nascondeva qualcosa nella mano stretta a pugno. […] Libereso schiuse le sue mani […] piene di cetonie, cetonie di tutti i colori. Le più belle erano le verdi, poi ce n’erano di rossicce e di nere, e una anche turchina». (Un pomeriggio, Adamo)
Ha indubbie parentele con Villa Meridiana, pur nello slittamento diacronico, anche la villa di Ombrosa, proprietà dei Baroni Piovasco di Rondò:
Fu il 15 di giugno del 1767 […] Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. […] Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave. (Il barone rampante)
E forse ancor più della proprietà dei Piovasco di Rondò, guarda a Villa Meridiana il giardino
della confinante proprietà dei Marchesi d’Ondariva. Lo sfoggio di presenze esotiche non può che richiamare l’attività di Mario Calvino presso la stazione di floricultura da lui diretta:
Infatti, digià il padre degli attuali Marchesi, discepolo di Linneo, aveva mosso tutte le vaste
parentele che la famiglia contava alle Corti di Francia ed Inghilterra, per farsi mandare le più preziose rarità botaniche delle colonie, e per anni i bastimenti avevano sbarcato a Ombrosa. (Il barone rampante)
L’epilogo è tristemente noto: prima di essere veduta dopo la morte di Eva Mameli (1979) e
totalmente trasfigurata, privata di quasi tutto il giardino, la villa aveva già subito una prima
decurtazione alla morte del padre (1951) con l’edificazione di un condominio nella parte più bassa del giardino. La speculazione edilizia (pur senza mai nominare Sanremo né tantomeno Villa Meridiana) racconta proprio questo primo intervento, restituendo insieme con esso il clima generale di un’epoca con tutte le sue contraddizioni (cfr. tappa 17):
La frase: – Se tutti costruiscono perché non costruiamo anche noi? – che egli aveva buttato lì un giorno conversando con Ampelio in presenza della madre, e l’esclamazione di lei, a mani alzate verso le tempie: – Per carità! Povero il nostro giardino! – erano state il seme di una ormai lunga serie di discussioni, progetti, calcoli, ricerche, trattative. Ed ora, appunto, Quinto faceva ritorno alla sua città natale per intraprendervi una speculazione edilizia. (La speculazione edilizia)
✏️ Giorgio Alassio, Giorgia Colafato, Sofia Grandi, Elisa Longinotti, Monica Revelli e Giulia Tasso
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