Via Volta – la scuola
La scuola era un grande edificio in pietra, col tetto in lamiera. Era alta sopra la strada, in una
posizione un po’ infelice, e vi si accedeva per tre scalinate. Era un’opera del Regime, ma non
risentiva per nulla dell’impettita architettura di quell’epoca; spirava un’aria d’ovvietà burocratica, quale il tiepido fascismo del mio paese cercava il più possibile di mantenere. Anche il bassorilievo del frontone, che pure rappresentava un balilla e una piccola italiana seduti ai lati della scritta «Scuole comunali», pareva ispirato a un’assennatezza pedagogica tutta ottocentesca. (Le notti all’UNPA)
Siamo nel settembre del 1940. Nelle scuole di via Volta il protagonista sedicenne del racconto, incluso nel trittico L’Entrata in guerra, deve prestare servizio per l’Unione Nazionale Protezione Antiaerea preposta alla tutela delle scuole in caso di attacco: anche Italo Calvino ne fece parte.
L’ebrezza di dormire per la prima volta fuori casa, il telefono della scuola a disposizione, magari per qualche scherzo notturno, gli elmetti e le maschere antigas da provare come per gioco sembrano occupare ancora quasi del tutto la mente del protagonista e del suo compagno Biancone. Ma il gioco è tutto illusorio, si respira un’aria malinconica, scontenta. La sirena suona il primo allarme. Per quella generazione «l’entrata in guerra» coinciderà con «l’entrata nella vita».
Nello stesso edificio, ancor oggi sede scolastica intitolata a Italo Calvino, è ambientato L’entrata in guerra. Qui l’edifico ha cambiato destinazione d’uso: non accoglieva più gli studenti, bensì i feriti e i profughi sfollati. Di nuovo abbiamo un ragazzo protagonista (di nuovo alter ego del giovane Calvino).
Nel palazzo delle scuole elementari della nostra città fu allestito un posto di ricovero e di
smistamento. Tutti gli iscritti alla Gil furono convocati, in divisa, a prestare servizio. (L’entrata in guerra)
Assistere gli sfollati risulta per lui una sorta di dovere morale, forse proveniente dal profondo, forse frutto dell’educazione ricevuta. La mente del giovane adolescente riporta però una certa impressione alla vista dei profughi «dall’aspetto cencioso e ospedaliero», così come dai corridoi trasformati in accampamenti, dai malati sulle barelle e dalle famiglie con bambini e fagotti. Più di tutto lo turba profondamente l’incontro con un vecchio paralitico ormai debolissimo trasportato in una cesta di vimini: l’uomo non vedrà la sera di quella giornata.
Tornai la sera verso casa e mi pareva che fossero passati giorni e giorni. Bastava chiudessi gli occhi e rivedevo le file di profughi con le mani rugose attorno ai piatti della minestra. La guerra aveva quel colore, quell’odore; era un continente grigio, formicolante, in cui ormai c’eravamo addentrati, una specie di Cina desolata, infinita come un mare. Tornare a casa ormai era come al militare una licenza, che ogni cosa che ritrova sa che è solo per poco: un’illusione. (L’entrata in guerra)
Il tema della guerra non attraversa solo l’opera letteraria di Calvino, ma anche la scrittura di testi per musica, nati dalla collaborazione con il gruppo dei «Cantacronache» (cfr. tappa 41). Si tratta di un gruppo torinese, attivo tra il ‘58 ed il 62’. Il gruppo era impegnato nella divulgazione di “cronache”, da cui il nome – ossia di fatti del mondo, con un certo impegno politico. Il ripudio della guerra è fra i temi più battuti, anche grazie alla collaborazione di intellettuali antifascisti come Calvino. Proprio su questo tema, ricorderemo Dove vola l’avvoltoio (1959), fra le canzoni più note di Calvino, una feroce denuncia dei mali derivanti dalla guerra. In contrasto con il ritmo brioso della musica, scritta da Sergio Liberovici, le parole ci orientano a un preciso e serio insegnamento sul piano morale. Fortemente antimilitarista, la lirica pone l’accento sugli stretti rapporti tra la natura, l’ambiente, l’uomo e la volontà di pace, dando voce a un diffuso sentimento pacifista. Formalmente il brano è composto da otto strofe, a ognuna delle quali segue l’icastico ritornello che risuona insistente anche nel ritmo per tutto il pezzo:
Dove vola l’avvoltoio?
Avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
(Dove vola l’avvoltoio)
Tutta la canzone si basa sull’ostilità che ogni cosa – il fiume, l’eco, il bosco – così come ogni
persona (dai soldati tedeschi, alle madri dei ragazzi al fronte) serbano verso l’avvoltoio –
personificazione della guerra. Tuttavia, verso la conclusione, cambia qualcosa:
Ma chi delle guerre quel giorno aveva il rimpianto
in un luogo deserto a complotto si radunò
e vide nel cielo arrivare girando quel branco
e scendere scendere finché qualcuno gridò:
Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla testa mia…
ma il rapace li sbranò.
(Dove vola l’avvoltoio)
Nell’ultima parte della canzone Calvino ci riporta un’eccezione, un “caso strano”, mettendoci sull’avviso: malgrado la natura, i tedeschi e le madri ripudino la guerra, ci saranno sempre degli individui che la cercheranno, ne godranno e la rimpiangeranno; lo scrittore si rivolge in modo lapidario a questi ultimi, avvertendo che la guerra è una bestia assetata, capace di rivoltarsi anche contro chi l’ha voluta.
✏️ Vittoria Prazzoli (Università di Genova); Valeria Amoretti, Cecilia Borrelli, Alessandra Giordano, coordinate dalla docente Paola Consiglio, Liceo G.P. Vieusseux, Imperia.
🚶🏻 Retrocedere per pochi metri in via Volta e svoltare a sinistra in via Pallavicino e poi ancora a sinistra in corso Garibaldi, fino a raggiungere piazza Colombo.
🔜 Vai alla Tappa 31 – Piazza Colombo
🔙 Ritorna alla Tappa 29 – Via Meridiana – Villa Meridiana