Ponte di Baragallo
Così si andava fino al ponte di Baragallo in una periferia mezzo campestre ma già presa d’assalto dalla città, dove alle tracce della vita agricola più antica, si affiancavano garages, magazzeni di fioristi, segherie, depositi di mattoni […] Lasciavamo la carrozzabile che continuava verso la Madonna della Costa […] e si costeggiava il torrente. Qualche cosa era cambiato all’improvviso, e il primo segno era questo: che fino a Baragallo la gente che s’incontrava era come sempre la gente per strada che nemmeno ci si guarda; dopo Baragallo incontrandosi tutti si salutavano, anche tra sconosciuti, con un «Bona» ad alta voce o con un’espressione generica di riconoscimento dell’esistenza altrui come: «Andamu andamu» o «Semu careghi, ancœi», o un commento al tempo che fa, «Mi digu ch’a va a ciœve», messaggi di riguardo e amicizia pieni di discrezione. (La strada di San Giovanni)
La progressiva copertura del Torrente San Francesco (cfr. tappa 28), durante l’irrefrenabile espansione della città, ha profondamente modificato l’aspetto di questa zona e non solo. Dalla località Baragallo, infatti, dal ponte sul quale si congiungono via Dante e via San Francesco, il torrente sparisce alla vista, per restare quasi totalmente interrato fino alla foce. Anche per questo il ponte di Baragallo pare ancor oggi, forse oggi ancor più di ieri, segnare il confine tra la campagna, la vita contadina e la vita più rumorosa e anonima della città.
Più Mario Calvino si avvicinava a San Giovanni più era preso da una nuova «tensione» quasi una furia, un’impazienza di arrivare che lo faceva camminare sempre più svelto, come se dalla sua vita improvvisamente si cancellasse tutto ciò che non era San Giovanni insieme con la consapevolezza che questo suo mondo «non essendo tutto il mondo, ma solo un angolo di mondo assediato da tutto il resto, sarebbe stato sempre la sua disperazione».
Ma bastava che dall’alto d’una fascia qualcuno che potava o che dava il solfato alle viti lo interpellasse: «Prufessù, pe’ piaxè, a vureiva faghe ina dumanda», e gli chiedesse un consiglio sulle miscele dei concimi, sull’epoca migliore per gli innesti, sugli insetticidi o le sementi nuove del consorzio agrario, e mio padre, rasserenato, calmo, esclamativo, un po’ verboso, si fermava a spiegargli il perché e il percome. Insomma, non aspettava altro che il segno che in questo suo mondo fosse possibile una convivenza civile, mossa da una passione di miglioramento, guidata da una ragione naturale. (La strada di San Giovanni)
A pochi passi dal ponte di Baragallo, riscendendo in via Dante (n. 103), si incontra la casa di Libereso Guglielmi (1925-2016). Ricordato da tutti come “il giardiniere di Calvino”, non è stato semplicemente un giardiniere, un botanico. O almeno, non è stato solo questo (cfr. tappa 36). Ma lungo l’itinerario incontreremo un’altra casa abitata da Libereso poco più che bambino, adolescente, dove fu l’incontro tra Libereso e “u prufessù” (alias Mario Calvino): un incontro determinate per le vite di entrambi.
✏️ Alassio Giorgio, Revelli Monica
🚶🏻Proseguire imboccando strada Tasciaire, fino al ponte.
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